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Il nostro Mont Ventoux

Mont Ventoux, 1952.


Il Tour va verso Avignone con un unico, immenso dominatore: Fausto Coppi.


Il Campionissimo ha conquistato la maglia gialla sulle rampe dell’Alpe d’Huez, strappandola al proprio compagno ed amico “Sandrino” Carrea.


Il giorno dopo, a suggello di una superiorità netta ed indiscutibile, Fausto ha ripreso sulle ultime rampe del Galibier il regionale francese Le Guilly, scalando poi in solitario Monginevro e Sestriere, lo stesso colle che già lo avevo visto solo nella Cuneo - Pinerolo del Giro d’Italia 1949.


Il Tour da quel giorno prosegue verso la Costa Azzurra fra gesti di sportività e belle vittorie arrivando in Provenza, alle pendici del Ventoux.

Il Tour lo ha già scalato l’anno precedente nella Montpellier - Avignone, con Lucien Lazarides primo in vetta e Louison Bobet vincitore nella “Città dei Papi”. Il “Monte Calvo” nel 1951 entra, di fatto, nella leggenda del ciclismo e da lì più nessuno potrà toglierlo. E’ una salita infinita, che parte fra gli arbusti della cittadina di Bedoin e, risalendo il pendio tra muri a secco e macchia mediterranea, conduce il ciclista in una pietraia lunare spesso battuta dal vento. Il vero Ventoux è proprio lì, su quella dorsale di colore giallognolo sospesa nel cielo azzurro della Provenza. E’ un mondo a parte, un pianeta silenzioso a due passi dal mare, un pezzo di montagna nella pianura francese. Come il Puy de Dome anche il Ventoux diventerà un mito della Francia intera, un “moloch” esigente e potente, così potente da chiedere addirittura il sacrificio del povero Tom Simpson nel 1967 e la deferenza del Cannibale Merckx.


Sul colle, in quello straordinario 1952, transiterà per primo Robic, “testa di vetro” per gli amanti delle due ruote, con Fausto impegnato a controllare senza patemi la fuga del francese e con il Ventoux impegnato a lasciare negli spettatori e nei suiveurs presenti sul percorso, un’immagine di indiscussa maestosità.


La foto di Fausto, ritratto nella foresta del Ventoux e scelta per la pagina di apertura del sito, diventa così un’icona del ciclismo ed un simbolo della fatica e della sofferenza dell’atleta, spinto dalla salita oltre i propri limiti.


In quella stessa immagine possono però essere racchiuse tante altre storie, a partire da quelle legate alla sete ed all’acqua. L’acqua per l’uomo, e di riflesso anche per un’atleta, è vita.


È quell’acqua che i gregari andavano a cercare buttandosi nelle fontane per i propri capitani, è quella stessa acqua che spesso pendeva dalle mani degli spettatori a bordo strada.


Un’acqua che, metaforicamente, può essere vista come elemento di vita e di aiuto nei momenti di difficoltà, assimilabile in tutto e per tutto alle parole di un libro o alla voglia di scrivere.


E’ proprio grazie alla voglia di scrivere dei nostri autori ed al desiderio di lettura del nostro pubblico se siamo arrivati fin qui.


Spinti dall’amore per lo sport e da tanta curiosità anche noi stiamo correndo la nostra piccola gara a tappe. Nel silenzio della salita del Ventoux o nel caldo sole del Giro d’Italia, su strappi micidiali come quelli delle Tre Cime o su discese velocissime come quelle di Fedaia e Fauniera.


L’importante resta sempre esserci e provarci, con la consapevolezza di non essere Coppi o Merckx, ma con l’ambizione di fare felici i nostri lettori.




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